Come abbiamo fatto a perdere la soggettività del bambino?

Autori

  • Viviana Langher Università degli studi di Roma “Sapienza”

Abstract

L’uso dei costrutti diagnostici sembra aver rimpiazzato, in taluni contesti a cominciare dalla scuola, la capacità di esplorare la soggettività del bambino. Questa prospettiva, che informa di sé tanto il discorso scientifico quanto il pensiero comune contemporaneo, arriva alla fine di un periodo di cento anni durante i quali studiosi di varie discipline si sono interrogati sul mondo interno del bambino. Psicoanalisi, pedagogia, psicologia dei processi cognitivi hanno investigato il modo in cui esplora il mondo e lo conosce, costruisce legami affettivi con gli altri, stabilisce relazioni emozionalmente connotate con persone, oggetti, eventi. In una sorta di effetto paradosso, al culmine della riflessione sulla soggettività del bambino nella decade tra anni ’80 e ’90 del Novecento, si è virato verso la sua “naturalizzazione”, classificazione, generalizzazione, previsione; sempre più in base a criteri di conformità alle attese e distanza dalle attese. Lo spazio che l’approccio diagnostico sta occupando nella scuola, in maniera sempre più estesa, impone una riflessione sul suo possibile impatto sfavorevole su uno dei contesti in cui il bambino sensibilmente acquisisce significati su di sé e sul mondo a cui appartiene.

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Pubblicato

30.12.2024

Come citare

Langher, V. (2024). Come abbiamo fatto a perdere la soggettività del bambino?. Quaderni Di Psicologia Clinica, 12(2), 21–29. Recuperato da https://quadernidipsicologiaclinica.com/index.php/quaderni/article/view/963

Fascicolo

Sezione

Contributi teorici